Il 12 giugno si è tenuta, nel palazzo della Moncloa a Madrid, la cerimonia del 40° anniversario dell’adesione della Spagna alle Comunità Europee, come si chiamavano allora le istituzioni comunitarie. In questa occasione, il premier spagnolo Pedro Sánchez ha tenuto un discorso di cui riportiamo il testo integrale. Si tratta di un intervento importante, che contribuisce a tracciare un bilancio di quattro decenni e a fissare l’orizzonte del futuro della Spagna saldamente ancorato all’Europa.

Discorso del Presidente del Governo, Pedro Sánchez, in occasione dell’evento commemorativo del 40° anniversario dell’adesione della Spagna alle Comunità europee

Madrid, 12 giugno 2025

Maestà, Presidente del Consiglio europeo, caro Antonio, Presidente del Congresso dei Deputati, Presidente del Senato, Presidente della Corte Costituzionale, Ambasciatori, autorità, signore e signori.

Quaranta anni fa, in un giorno come questo, il corso della Spagna cambiò per sempre.

Quel 12 giugno 1985, in questa stessa sala, a questo stesso tavolo, Maestà, il nostro Paese firmò, come ben sapete, molto più della sua adesione alle allora Comunità europee. Fece pace con la propria storia e suggellò per sempre il suo futuro.

L’Europa non sarebbe mai più stata per noi un sogno preso in prestito, ma una realtà condivisa.

Non sarebbe mai più un rifugio di libertà a cui guardare indietro con un certo desiderio e tanta invidia, ma piuttosto il nostro destino, il nostro posto nel mondo.

E visti i risultati, è giusto dire che il viaggio ne è valsa la pena.

Perché in questi ultimi 40 anni, noi spagnoli abbiamo vissuto il momento migliore della nostra storia, senza dubbio.

Se guardiamo i numeri, abbiamo raddoppiato il nostro PIL pro capite, dimezzato il tasso di disoccupazione e aumentato l’aspettativa di vita in non meno di 11 anni.

Abbiamo mitigato le disuguaglianze e la povertà e costruito uno stato sociale di prim’ordine. E siamo anche diventati un paese tollerante, un paese che apprezza la sua diversità, un paese attraente per il mondo intero.

In questi quattro decenni, la Spagna è passata dall’essere una democrazia giovane e fragile a una democrazia a tutti gli effetti, senza dubbio con delle lacune, come tutte.

Con problemi in sospeso, certo, ma abbiamo potuto constatare che negli ultimi 40 anni siamo andati avanti con grande determinazione.

Anche con livelli di solidità, rappresentatività e trasparenza pari o superiori a quelli di molte altre democrazie che guardavamo con grande invidia 40 anni fa.

L’Unione Europea ci ha aiutato in tutto questo; ci ha aiutato a crescere, a modernizzarci e ci ha fornito sostegno finanziario, frontiere aperte, opportunità educative, scienza, innovazione e incentivi culturali dove prima non li avevamo trovati.

L’Europa ha dato molto alla Spagna. Molto, moltissimo, questo è ovvio.

Ma vorrei anche sottolineare che la Spagna ha contribuito molto e ha dato molto all’Europa.

Innanzitutto, le ha dato integrazione e coesione, insieme ai nostri fratelli e sorelle portoghesi.

La Spagna non ha mai dubitato del progetto europeo, nemmeno nei momenti peggiori, come la recente crisi finanziaria degli anni 2010.

La Spagna è sempre stata in prima linea tra tutti quegli Stati membri che, nei vari ambiti della rappresentanza istituzionale, hanno lavorato per far progredire l’Europa e rendere realtà l'”Unione sempre più stretta” di Jacques Delors.

Siamo stati senza dubbio un attore chiave nella definizione delle politiche di coesione, che costituiscono una delle colonne portanti dell’Unione europea.

Abbiamo svolto un ruolo importante nell’integrazione del mercato unico.

Siamo stati promotori dell’allargamento dell’Unione europea, inclusa l’area Schengen, ai nuovi Stati membri, e abbiamo contribuito in modo determinante alla promozione di nuovi strumenti comunitari come i fondi Next Generation, che stanno contribuendo in modo significativo alla trasformazione del nostro Paese.

L’attuale forza dell’Europa deriva quindi dalla sua unità, e tale unità è stata resa possibile, in larga misura, grazie al contributo della Penisola Iberica e anche, in questo caso, diciamo umilmente, della Spagna.

In secondo luogo, il nostro Paese ha contribuito in modo decisivo alla prosperità economica dell’Unione Europea nel suo complesso. La Spagna è la quarta economia dell’Unione. È anche il quarto esportatore netto, il secondo tra le principali economie. Contribuiamo all’Unione nel suo complesso con oltre tre milioni di aziende e oltre dieci milioni di lavoratori altamente qualificati. E un fatto che passa in gran parte inosservato, ma che ritengo importante sottolineare oggi, è che abbiamo investito oltre 12 miliardi di euro in investimenti diretti esteri nel resto dell’Unione Europea.

Solo lo scorso anno, la Spagna ha generato il 50% della crescita economica e il 30% dei nuovi posti di lavoro, se parliamo, in questo caso, dell’eurozona.

Così, nel corso dei decenni, la Spagna ha smesso di essere uno dei fanalini di coda del progresso europeo ed è diventata uno dei suoi principali motori. E credo che questo sia un vantaggio per tutti noi. Gli spagnoli, senza dubbio. Ma anche i francesi, i cechi, i polacchi… In breve, per tutti i nostri fratelli e sorelle europei.

E, allo stesso modo, la Spagna è diventata un motore essenziale di ciò che António Costa, l’attuale Presidente del Consiglio, ha promosso come Primo Ministro portoghese: il Pilastro Sociale Europeo con il Vertice di Porto, caro António.

Perché non siamo europei solo geograficamente. Siamo europei perché sappiamo cosa significa esercitare la nostra cittadinanza comune. Sono libertà, sono responsabilità, senza dubbio, ma sono anche diritti.

Il nostro Paese ha promosso la cittadinanza europea nel Trattato di Maastricht. Ha contribuito in modo decisivo a qualcosa che l’oratore precedente ha menzionato: la creazione del programma Erasmus, che sarà sempre legato a una figura molto cara agli spagnoli: Manolo Marín.

È stato un promotore essenziale del pilastro sociale, insieme ai nostri fratelli e sorelle portoghesi, e uno dei responsabili del fatto che oggi in Europa abbiamo una tessera sanitaria comune, la libertà di movimento per tutti, che credo sia benvenuta, e una politica abitativa comunitaria che noi, logicamente, come Vicepresidente della Commissione, dobbiamo promuovere in questa legislatura.

Infine, non voglio dilungarmi troppo, Maestà, credo che la Spagna abbia contribuito in modo decisivo all’espansione internazionale dell’Europa.

Siamo probabilmente uno dei Paesi con la maggiore vocazione globale del continente, insieme al Portogallo. Un ponte geografico verso il sud, verso il Mediterraneo. Non abbiamo solo un passato, ma anche un presente che ci collega all’America Latina, ai Caraibi, all’Africa e al Nord America.

Per questo concepiamo solo un’Europa aperta al mondo, un’Europa globale.

Credo che la Spagna abbia portato lo spirito dell’azione estera europea al di là di ciò che appare nelle incisioni, nel suo stemma e nella sua storia.

Siamo riusciti ad aiutare l’Unione a imparare a guardare, ad ascoltare e a lavorare, cosa di cui c’è tanto bisogno, per le relazioni che si stanno creando in altre parti del mondo.

È evidente, signore e signori, che l’Europa è risorta dalle ceneri della guerra come promessa di pace.

Pertanto, in nome dei nostri antenati e delle nostre antenate, e per il futuro dei nostri figli e figlie, lavoriamo affinché quest’Europa unita non sia indifferente alle guerre e alle ingiustizie.

Non possiamo, logicamente, seppellire la dignità europea sotto le macerie di Gaza. Né possiamo dimenticare i nostri compatrioti e fratelli in Ucraina – vedo l’ambasciatore lì – né in fondo al Mediterraneo o nelle fosse comuni in Sudan.

Nel 1991, proprio in questa sala, Maestà, si aprì una porta di speranza, quando parlammo di Medio Oriente, per quella pace, con la conferenza di pace tenutasi nella capitale spagnola, Madrid.

E ora, come allora, il nostro Paese rimane impegnato nella difesa del multilateralismo e della pace, come dimostra la Conferenza Internazionale sul Finanziamento dello Sviluppo che terremo a Siviglia tra fine giugno e inizio luglio.

Concludo. Maestà, autorità, diverse generazioni di nostri connazionali hanno vissuto pensando che la Spagna fosse il problema e l’Europa la soluzione. Ora alcuni sostengono il contrario: che il problema sia l’Europa e la soluzione un mero insieme di nazioni presumibilmente sovrane, ma che, in pratica, sarebbero totalmente subordinate a questo mondo di giganti.

Credo che questa visione sia assolutamente errata, un errore enorme.

Quattro spagnoli su dieci oggi non hanno conosciuto altra Spagna se non quella emersa il 12 giugno 1985. Ripeto, quattro spagnoli su dieci oggi. Per quasi 20 milioni di nostri connazionali, l’Europa non è più un sogno, è un fatto quotidiano. E, come tutti i fatti quotidiani, corriamo il rischio di non apprezzarne la straordinarietà.

Pertanto, credo che insieme dobbiamo prenderci cura dell’Europa. Non si tratta più di essere l’Europa a cambiarci, perché l’Europa lo ha già fatto e, tra l’altro, lo ha fatto molto bene. Ora tocca a noi contribuire a rafforzare, trasformare e far progredire l’Europa in meglio. Un cambiamento, una trasformazione che è possibile solo con più Europa.

Maestà, signore e signori, la Spagna sarà lì, come sempre in questi quattro decenni, in prima linea, a dare il massimo per rinnovare questo sogno collettivo che è la nostra Unione Europea.

E quindi, facciamolo ispirandoci al suo motto: uniti nella diversità.

Così sia.

Niente di più, e grazie mille.