“Non consideriamo alcun riarmo della NATO una minaccia per la Federazione Russa, perché siamo autosufficienti in termini di sicurezza”. Questa straordinaria dichiarazione del Presidente Vladimir Putin, fatta durante l’incontro del 18 giugno con i rappresentanti delle agenzie di stampa straniere a San Pietroburgo, non costituisce solo la riaffermazione della potenza militare russa, che si considera invincibile e invulnerabile qualunque sia lo sforzo finanziario e industriale profuso dai Paesi NATO per rafforzare le proprie forze armate.

Non sappiamo quanto intenzionalmente lo abbia fatto, ma il Presidente della Federazione Russa, con queste parole, ammette implicitamente che l’aggressione all’Ucraina di tre anni fa non ha nulla a che fare con la presunta minaccia della NATO alle frontiere della Santa Madre Russia. Cosa ovvia per tanti, ma non per molti altri che hanno creduto a tutto quello che la potente macchina propagandistica del Cremlino ha veicolato in Europa in questi anni.

Se non è percepito come una minaccia (ed è giusto peraltro che sia cosi, essendo la NATO un’alleanza difensiva) il riarmo dei Paesi euro-atlantici fino al 5% del loro PIL, per giunta con la quasi triplicazione della lunghezza dei confini diretti tra Russia e NATO dopo l’adesione di Finlandia e Svezia (prima dell’aggressione all’Ucraina il confine tra il territorio difeso dal Patto Atlantico e la Russia misurava circa 700 km, ora è oltre 2 mila km), come poteva mai essere l’Ucraina una minaccia per la Russia nel 2022? Ma quando mai? E come hanno fatto tanti europei a crederci, o a far finta di crederci?

Propaganda, menzogne e politica si sono sempre incrociate nella storia degli accadimenti umani, ma va riconosciuto che in questi anni si sta allargando sempre più un’area grigia in cui verità e falsità si compenetrano talmente bene da renderle irriconoscibili. Quest’area assume un grigiore sempre più intenso quando viene irrorata dalle dichiarazioni alluvionali dei maggiori leader mondiali, la cui contraddittorietà e confusione finiscono per incrementare l’ampiezza dell’area della mescolanza tra politica e menzogne.

Un semplice esempio riferito all’attualità del Medio Oriente.

L’interventismo americano nel mondo è stato oggetto di critiche e svalutazioni per molti anni, tanto da provocare la chiusura di un’intera fase delle relazioni internazionali. Dopo le esperienze in Afghanistan e in Iraq, si è detto che la politica dell’intervento militare statunitense per cambiare i regimi dittatoriali ed “esportare la democrazia” è stata talmente sbagliata e fallimentare che nulla avrebbe dovuto essere replicato. Tutto sbagliato, tutto da rifare. La base elettorale che ha sostenuto la grande vittoria di Donald Trump nelle ultime elezioni presidenziali, ha creduto nel disimpegno americano dalle guerre, in particolare da quelle finalizzate al Regime Change.

Oggi l’attacco israeliano all’Iran ha l’obiettivo di cancellare il programma nucleare di Teheran, ma non viene più neanche nascosto l’auspicio del cambio di regime. Gli Stati Uniti non hanno escluso il loro diretto coinvolgimento nelle operazioni belliche, addirittura il Presidente USA si pone il problema di far uccidere o meno la Guida suprema Ali Khamenei. Quindi ciò che è stato sostenuto ieri, può essere ribaltato completamente oggi, e non è detto che non ricambi un’altra volta domani.

Una politica perennemente sospesa tra confusione e aggressione, tra verità e falsità, rischia di scivolare laddove tutto diventa irreparabile.

Il marconista di bordo