La confusione sugli obiettivi consente di dichiarare vittoria comunque vada a finire, ma l’ansia di entrare in quattro e quattr’otto nell’immortalità rischia di combinare guai veri.
Dall’interno delle diverse articolazioni del potere americano non si capisce più se la possibilità di disporre di armi nucleari da parte dell’Iran fosse stata misurata in “poche settimane” o in “pochi anni” (e ci sarebbe una bella differenza), oppure se il bombardamento americano abbia cancellato il programma nucleare di Teheran o lo abbia “ritardato solo di qualche mese” (e ci sarebbe una bella differenza).
Guardiamo ai dati di fatto.
Per Israele, la realizzazione di armi nucleari da parte di Teheran rappresenta un’autentica minaccia esistenziale. Per comprenderlo basta ascoltare le annose e reiterate volontà di cancellare lo Stato di Israele dalle carte geografiche, e immaginarle associate alla disponibilità della bomba atomica.
Per la Russia, chiudere subito lo scontro tra Israele/USA e l’Iran salva uno degli ultimi regimi strettamente alleati nell’area, dopo il disfacimento del regime della famiglia Assad in Siria. La Repubblica islamica degli ayatollah è uno dei grandi fornitori degli armamenti con cui Putin martella la martoriata Ucraina, tanto che a gennaio di quest’anno è stato firmato un Trattato di cooperazione strategica tra Russia e Iran.
D’altro canto, l’allentamento della tensione ha provocato la frenata della crescita del prezzo degli idrocarburi, e questa non è una buona notizia per Mosca. Prezzo alto del petrolio vuol dire alti introiti per le casse dello Stato russo, e quindi continuazione dell’aggressione all’Ucraina. Basso costo del petrolio significa meno introiti, e più problemi per far quadrare i conti tra il bilancio dello Stato russo e la prosecuzione del martellamento dell’Ucraina.
Per la Cina, l’Iran è un fornitore di idrocarburi, e quindi l’effettiva conclusione degli scontri, l’esclusione di ogni eventuale rischio di chiusura dello Stretto di Hormuz e la continuazione del regime è un’ottima notizia.
Il Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che il suo intervento in Iran è paragonabile al bombardamento di Hiroshima: ha fatto finire la guerra. A parte il gusto opinabile di prendere in considerazione un evento comunque tragico come la cancellazione atomica della città di Hiroshima, paragonare i dodici giorni gli scambi missilistici tra Israele a Iran ai cinque anni della Seconda Guerra Mondiale appare leggermente superbo.
L’asse tra Putin e Trump sembra resistere ancora. Tra i bombardamenti di Stati sovrani e l’insofferenza verso ogni barlume di diritto internazionale, ci auguriamo che almeno sia vero che il programma per la realizzazione di una bomba atomica da parte dell’Iran sia stato effettivamente bloccato. Altrimenti l’ansia dell’immortalità avrebbe prodotto un tragico equivoco.
Il marconista di bordo