C’è qualcosa di anomalo in alcune reazioni politiche al terremoto finanziario che, ormai da giorni, flagella le Borse mondiali a seguito dell’avvio della politica dei dazi intrapresa dall’attuale amministrazione statunitense. Un qualcosa simile al delirio di onnipotenza, un qualcosa avvertito come stonato, non adeguato alla realtà vera, alle perdite che milioni di risparmiatori stanno subendo sul piano finanziario, un fenomeno da sempre anticipatore di imminenti perdite economiche a causa di previsti innalzamenti dell’inflazione, di rischi di recessione, di un mondo che si ritrova, oltre alla guerra militare russa, anche la guerra commerciale americana.

Secondo il sito web rainews.it, il presidente degli Stati Uniti avrebbe scritto sulla sua piattaforma social Truth (scritto dunque, non detto in un qualche comizio) che i dazi “stanno portando decine di miliardi di dollari negli Stati Uniti. Sono già in vigore e sono una cosa meravigliosa da vedere”.

In appena tre giorni di contrattazioni (giovedì 3 aprile, venerdì 4, lunedì 7), la borsa di Hong Kong ha realizzato perdite pari a -14,54%, Tokyo -12,84%, Shanghai -7,57%, Seul -7,09%, Milano -14,56%, Londra -10,62%, Francoforte -11,40%, Parigi -11,86%.

Questa sarebbe la “cosa meravigliosa da vedere”?

Dovremo abituarci, che ci piaccia o no, al compiacimento narcisista generato dalla vista delle rovine provocate, e sbattuto in faccia al resto del mondo? Speriamo ardentemente che il futuro arrivi presto a smentirci, come la storiografia ha già smentito il racconto dell’imperatore Nerone che giulivo suona la cetra mentre osserva Roma bruciare tra le fiamme di un devastante incendio.

Quelli “sbagliati” siamo noi europeisti incalliti, che abbiamo creduto alla resipiscenza del potere dopo la Seconda Guerra Mondiale, noi che abbiamo contrapposto Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer alle logiche del nazionalismo militarista e finanziario del mondo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Siamo “sbagliati” perché il cosiddetto “nuovo” ordine internazionale sta apparendo solo come la brutta copia di quello ottocentesco. Sappiamo come va a finire, ma rimaniamo comunque fuori posto, in un disagio che non interessa a nessuno.

Con quali suggestioni politiche, ideali, storiche, sono cresciute le attuali classi dirigenti dominanti?

Si sta affermando un linguaggio predatorio, violento, irriverente.

Solo una postilla conclusiva. Truth è la traduzione americana della russa Pravda. Il primo è il nome del social di Donald Trump, il secondo è il nome del famoso quotidiano russo, organo ufficiale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Le parole contengono un’ironia intrinseca che i nuovi poteri predominanti sul mondo non riescono a cogliere.

Il marconista di bordo