Con tutta onestà, detto tra noi, senza offesa per nessuno, si fa notare sommessamente che i groenlandesi sono stati chiamati alle urne l’11 marzo scorso. Ma senza Donald Trump alla Casa Bianca, e la sua reiterata volontà di prendersi la grande isola con qualunque mezzo (nella diplomazia internazionale significa non escludere l’uso della forza militare), ce ne saremmo occupati veramente?

La Groenlandia ha circa 57 mila abitanti, meno della città di Carrara, e gli aventi diritto al voto sono 40.620 persone. A votare per il rinnovo del loro Parlamento (Inatsisartut) si sono presentati in 28.260. Hanno vinto i Democratici ottenendo 8.563 voti.

La prima domanda da porsi è: ha prevalso lo spirito indipendentista dei groenlandesi? Nel nuovo Parlamento l’indipendentismo isolano ha una rappresentanza molto forte.

La seconda domanda è: l’indipendenza completa dal Regno di Danimarca, comprensiva quindi della politica estera e di difesa, è un’aspirazione da soddisfare immediatamente? Parrebbe proprio di no, i groenlandesi sarebbero orientati sicuramente verso il gradualismo.

E infine, la terza domanda sarebbe: la Groenlandia vuole lasciare la Danimarca per entrare negli Stati Uniti? Sussistono molti dubbi.

Nell’incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e Mark Rutte, Segretario generale della NATO, è andato in onda un nuovo siparietto dedicato alla Groenlandia. Secondo Trump, che amalgama con singolare padronanza la storia con il diritto internazionale e l’intimidazione militare, la Danimarca “non ha nulla a che fare con questo. Una barca è attraccata lì 200 anni fa o qualcosa del genere e dicono di avere i diritti? Non so se è vero … Abbiamo un paio di basi lì e abbiamo dei soldati, forse ne manderemo molti altri”.

Il marconista di bordo