Le domande stampate sulla copertina del romanzo di Sasha Vasilyuk, edito in Italia da Garzanti, ci interrogano sulla questione chiave della storia raccontata dall’autrice: “E se la tua vita fosse basata su una bugia? Chi saresti disposto a diventare per sopravvivere?”.
Per togliere subito ogni dubbio, va detto che il romanzo risulta essere molto bello. Sasha Vasilyuk è una giornalista ucraina, risiede e lavora negli Stati Uniti, e ha scritto il libro ispirandosi alle vicende del nonno. Per non svelare il cuore della storia, non diremo quale sia la bugia evocata in copertina. Le vicende del nonno dell’autrice si dipanano dalla Seconda Guerra Mondiale fino al secondo decennio del nostro secolo, e non ci parlano solo di Efim, Nina, e dei figli Vita e Andriy, ebrei ucraini residenti nel Donbass, ma anche dell’Ucraina sovietica e dell’Ucraina indipendente, dei miti del regime sovietico e delle ossessioni russe. E della volontà russa di riprendersi l’Ucraina come fosse un pacco lasciato con trascuratezza da una parte per qualche decina d’anni, destinato inesorabilmente a rientrare nella sfera del dominio russo.
Nella parte finale del libro, durante la guerra per il controllo della regione del Donbass, e in occasione delle cerimonie per il settantesimo anniversario della Giornata della vittoria, Andriy cerca di calmare al telefono la sorella Vita che non vuole che il fratello sfili a Mosca con la foto del padre veterano di guerra. Lui prova a dirle che la cerimonia sulla piazza Rossa non è solo per i veterani, ma è per tutti. E la sorella gli risponde: “certo, tutti e Putin. Se fossi qui a farti bombardare, capiresti. Anche da noi oggi c’è stato un corteo, sai. E le stesse foto dei veterani sono state portate accanto a quelle dei separatisti, come se fossero anche loro degli eroi. Gli idioti del nostro cosiddetto governo non riescono a trovare una ragione valida per cui dei giovani debbano morire combattendo contro l’Ucraina, quindi gridano sciocchezze sui nazisti e cercano di collegare queste due guerre per suscitare patriottismo” (pag. 360).
C’è un incolmabile fossato che la storia ha scavato. Forse nasce proprio nelle gesta epiche della Seconda Guerra Mondiale contro la Germania, nei sospetti paranoici del regime staliniano contro i propri soldati caduti prigionieri dei tedeschi. E in un’arte in cui l’URSS eccelleva: “aveva dimenticato l’arte sovietica di rielaborare, insinuare, stravolgere le parole per dar loro un nuovo significato” (pag. 264). E le bugie diventano una disperata ancora di salvezza.