Quando venne eletto al Soglio di Pietro, rilevò come i Cardinali erano andati a cercare il nuovo Papa alla “fine del mondo”. Quella “fine del mondo” non è rappresentata solo dalla lontananza di Buenos Aires da Roma, ma è fatta di periferie, di poveri, di scartati, di immigrati. Ormai viviamo un mondo nel quale tutto viene monetizzato. Si monetizza la pace e la guerra, si monetizza la vita e la morte, la paura e la speranza, l’accoglienza e la deportazione. E la voce che viene dalla “fine del mondo” è di tutt’altro genere: ci parla dei bisogni degli uomini più sfortunati, delle sofferenze dei migranti, degli impatti dei cambiamenti climatici sulla natura e sugli uomini.
Tra l’arroganza dell’invasore dell’Ucraina, che tutto compito presenzia alla Messa di Pasqua al Cremlino, e la sofferenza dell’aggredito, che la Pasqua la vive tra le rovine e i lutti, ha quasi sempre aperto le sue apparizioni pubbliche con la necessità di non dimenticare la “martoriata Ucraina”, riproponendo un aggettivo che ricorda il martirio degli innocenti. Non dimenticare, diceva, presagendo gli imminenti atteggiamenti del mondo libero.
Indimenticabile la Messa tenuta in solitudine in piazza San Pietro durante l’epidemia da Covid, con il crocifisso miracoloso di San Marcello al Corso e l’icona Salus Populi Romani della basilica di Santa Maria Maggiore.
Fu un uomo di coraggio, dentro e fuori la Chiesa. Non era molto amato dal potente episcopato cattolico nordamericano, che vive in un mondo nel quale ormai il debole viene considerato solo un fallito. E forse ebbe anche qualche problema con coloro i quali confidavano in una rivoluzione interna alla Chiesa ancora più incisiva di quella che stava portando avanti. Ebbe coraggio anche nella scelta del nome: Francesco è un nome estremamente impegnativo nel mondo cristiano.
Tifava per la squadra di calcio argentina del Club Atlético San Lorenzo de Almagro, più comunemente noto come San Lorenzo.
Jorge Mario Bergoglio è morto alle 7.35 del giorno di Pasquetta.
Il marconista di bordo