Accanto alla bandiera nazionale, a Bucarest continuerà a sventolare anche la bandiera dell’Europa. Nel ballottaggio delle elezioni presidenziali romene, svoltosi domenica 18 maggio, il candidato europeista ha sconfitto il candidato nazionalista.

Seguendo un cliché ormai consolidato da qualche tempo a questa parte, il nazionalismo europeo si presenta con forti connotazioni anti-europeiste e anti-comunitarie, con simpatie più o meno malcelate verso la Russia e la leadership putiniana, con la contrarietà alla continuazione degli aiuti militari alla resistenza ucraina, con espliciti appoggi da e verso la nuova amministrazione statunitense.

In Romania è andata in onda la stessa rappresentazione, solo che il popolo romeno ha sostenuto maggioritariamente la tesi opposta, ritenendo l’Europa e le sue istituzioni il luogo migliore per costruire il proprio futuro.

George Simion, leader del partito di estrema destra Alianta pentru Unirea Românilor (Alleanza per l’Unione dei Romeni), nel primo turno delle elezioni aveva ottenuto il 40,96% dei voti. La politica di Simion ruotava intorno all’interruzione del sostegno militare a Kiev (le sue attività anti-ucraine sono state così intense che gli hanno valso la proibizione all’ingresso in Ucraina), all’adesione entusiastica alla politica estera di Donald Trump (“siamo ideologicamente quasi perfettamente allineati al movimento MAGA”), al perseguimento della riunificazione della Moldova con la Romania (ottenendo così la proibizione all’ingresso anche in Moldova).

Nicuşor Dan, sindaco di Bucarest, aveva ottenuto invece il 20,99% al primo turno, classificandosi al secondo posto tra gli undici candidati presidenziali, e conquistando così il diritto a sostenere il ballottaggio contro Simion. Centrista, europeista, diffidente verso la Russia di Putin, Dan è stato rappresentato come lo sfidante debole, potenzialmente perdente, difficilmente in grado di frenare il vento autoritario dell’est. Tanto che George Simion, in un’intervista al sito giornalistico politico.com, aveva dichiarato: “Stiamo praticamente vincendo … ho una visione piuttosto ottimistica al riguardo, sul risultato finale penso che sarà una valanga”.

Chi conosce meglio la politica romena era invece consapevole che il punto più fragile dell’europeismo di Bucarest risiede nella divisione tra i suoi leader politici, divisione che nel ballottaggio a due poteva essere superata. Inoltre, il nazionalismo romeno a tinte russo-americane avrebbe potuto risultare vincente in caso di una partecipazione ridotta al voto: con tassi di astensionismo minori, il risultato non sarebbe stato scontato.

Così è avvenuto. Al secondo turno sono andati a votare oltre due milioni di romeni in più rispetto al primo turno, e tutti i partiti e i movimenti europeisti romeni hanno appoggiato Nicuşor Dan che ha vinto con il 53,6% dei consensi.

La Romania, Stato membro dell’Unione Europea e della NATO, aveva vissuto nel dicembre scorso il caso straordinario dell’annullamento, da parte della Corte Costituzionale, dell’esito del primo turno delle elezioni presidenziali a causa delle ingerenze russe nel processo elettorale. Un caso unico nel panorama delle democrazie europee. Il beneficiario di quelle ingerenze era stato il nazionalista Calin Georgescu che aveva raccolto il 22,94% dei consensi. L’annullamento straordinario delle elezioni ha sicuramente aiutato la popolarità dei candidati nazionalisti allorché sono state ripetute nel maggio di quest’anno, ma non a sufficienza per invertire la direzione politica del Paese.

Il marconista di bordo