Earl Leroy Carter, detto “Buddy”, è un membro della Camera dei Rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti. Eletto nella nativa Georgia per il Partito Repubblicano, siede nel Congresso dal 2015.
Due giorni fa, precisamente l’11 febbraio, “Buddy” Carter ha rilasciato alla stampa la notizia di aver presentato una proposta di legge che abbiamo letto con attenzione. Si tratta di un testo semplice e sintetico: “il Presidente è autorizzato ad entrare in trattative con il Governo della Danimarca per acquistare o acquisire in altro modo la Groenlandia”. Un fugace brivido viene da quel “or otherwise acquire”: se non si acquista, quale sarebbe un “altro modo” per acquisire l’isola?
La proposta di legge è in linea con la visione del mondo del Presidente Trump, compreso il vezzo di cambiare i nomi alla geografia che abbiamo studiato a scuola. L’isola che noi italiani chiamiamo Groenlandia, i groenlandesi la chiamano in lingua groenlandese Kalaallit Nunaat, ovvero “terra dei Kalaallit”. I danesi, in lingua danese, la chiamano Grønland, ovvero “terra verde”, da cui il nome inglese Greenland.
Ebbene, se mai l’isola diventasse in qualche modo statunitense, e qualora la proposta di “Buddy” Carter venisse approvata dal Congresso, la Groenlandia americana non si chiamerà più Greenland, terra verde, bensì Red, White, and Blueland, rifacendosi dunque ai tre colori della bandiera a stelle e strisce.
La questione viene presa molto sul serio. Nella sottosezione (b) della sezione 3 della proposta di legge si scrive che “qualsiasi riferimento a Greenland in una legge, mappa, regolamento, documento, incartamento, o altra documentazione degli Stati Uniti, sarà considerato un riferimento a Red, White and Blueland”.
Per noi italiani, rinominare tutte le mappe togliendo il comodo appellativo di “Groenlandia” e infilandoci la “Terra rossa, bianca e blu” non sarebbe proprio così agevole. Abbiamo capito quanto, per la nuova amministrazione statunitense, i problemi europei non siano particolarmente importanti, figurarsi quelli dei nostri cartografi.
Il marconista di bordo