L’11 settembre 1973 il legittimo governo cileno del presidente Salvador Allende venne spodestato dal golpe militare guidato dal generale Augusto Pinochet. Fu un trauma prima di tutto per i cileni, ma segnò un’intera epoca, soprattutto in Italia: “il colpo di Stato in Cile, il sovvertimento violento dell’ordine democratico con numerose vittime, i desaparecidos, gli incarcerati e i torturati ha rappresentato un dramma e una tragedia che resterà per sempre impressa nella memoria di tutti e nella storia mondiale” (pag. 189).

Il saggista Luigi Giorgi ha pubblicato nel 2024 il libro Tra democrazia e rivoluzione. La Democrazia cristiana e la politica italiana nei giorni del golpe cileno, nel quale ricostruisce il dibattito politico di quei giorni in Italia, a livello parlamentare, partitico e giornalistico. I temi sono sostanzialmente due: la posizione assunta dalla Democrazia cristiana cilena nei giorni del golpe, e i riflessi che tutta la vicenda ha avuto nella politica italiana, soprattutto in riferimento alla Democrazia cristiana, che vantava legami molto stretti con quella di Santiago del Cile.

Alcune componenti (non tutte, va sottolineato) della DC cilena, segnatamente quelle più ispirate al Presidente Eduardo Frei, non condannarono inizialmente l’azione dei militari. Salvador Allende era stato eletto Presidente del Cile anche con i voti della DC, ma questa divenne nel corso del tempo sempre più critica verso l’operato del Governo, accusato di confusione e massimalismo. L’esperienza del socialismo rispettoso della democrazia propugnata da Allende stava portando il Paese, secondo la DC cilena, nel caos e nella crisi economica.

La DC italiana si trovò in una posizione imbarazzante, visti i collegamenti con la DC cilena (lo stesso governo guidato dal democristiano Mariano Rumor, con Aldo Moro ministro degli Esteri, rischiò analoghe accuse di ambiguità). Fu sottoposta, da sinistra (PCI e PSI) e da destra (MSi), ad alcuni attacchi che, a distanza di oltre 50 anni, francamente esprimono tutto il potenziale propagandistico del tempo.

La Democrazia Cristiana italiana condannò senza alcuna reticenza il violento colpo di Stato di Pinochet, anche se questo significò prendere le distanze da una parte della DC cilena. Il Segretario politico Amintore Fanfani scrisse: “Ferma resta la condanna del ricorso alla violenza anche nella vita politica e della stolta pretesa di restaurare l’ordine calpestando la libertà” (pag. 32), sottolineando come in queste circostanze non c’è spazio per la neutralità.

Il Partito Comunista Italiano fece tesoro delle vicende cilene per avviare, con il suo nuovo Segretario politico Enrico Berlinguer, la stagione del “compromesso storico”. I comunisti, accanto alle critiche sui rapporti con Eduardo Frei, intrapresero dopo il golpe in Cile il loro avvicinamento alla DC italiana “riconoscendo il valore popolare del consenso democristiano e lo stesso ruolo storico della DC come forza democratica e libera che esprimeva legittimamente la sua azione di governo” (pag. 192).

In conclusione, due sono le considerazioni che possono essere messe in evidenza. La prima: la drammatica vicenda cilena indusse le forze politiche italiane ad accrescere la consapevolezza che per evitare tentazioni e disegni repressivi, lesivi della democrazia e della libertà del Paese, fosse necessario proseguire nella prassi riformista, nell’attenzione ai mutamenti in corso nella società.

La seconda: “Il 1973 segna … l’inizio di una tendenza in atto nei confronti della DC, cioè quella del suo «processo» … Proprio nel 1973 la DC, attraverso la questione cilena, riusciva a respingere, per quello che poteva, a livello politico e valoriale (anche allentando, come abbiamo visto, i rapporti con la DC cilena) un attacco e una critica che si faranno sempre più stringenti in quegli anni” (pag. 196).