Giovedì 8 maggio 2025 il Bundestag tedesco ha celebrato I’80° anniversario dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: per gli Alleati fu il giorno della vittoria, per i tedeschi il giorno della liberazione dal nazismo.

In tale occasione il Presidente della Repubblica federale di Germania, il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier, ha tenuto un importante discorso, con toni fermi ed elevati, non solo ricordando il passato della tirannia nazista e della liberazione da essa, ma anche osservando quanto accade in Europa dal giorno dell’aggressione russa all’Ucraina.

Di seguito riportiamo il testo integrale del discorso del Presidente Steinmeier.

Discorso del Presidente della Repubblica Federale Tedesca Frank-Walter Steinmeier alla cerimonia commemorativa al Bundestag tedesco per l’80° anniversario della liberazione dal nazionalsocialismo e la fine della Seconda Guerra Mondiale

Berlino, 8 maggio 2025

“Sapete, ce lo aspettavamo sempre. (…) Ma è ancora difficile da sopportare quando la sconfitta arriva all’improvviso, e abbiamo perso.”

La sconfitta è difficile da sopportare: queste sono le parole di Helga Felmy, nata nel 1911, in una lettera scritta l’8 maggio 1945 al marito, pastore e prigioniero di guerra. La sua lettera è tra i documenti raccolti da Walter Kempowski che rivelano lo stato d’animo dei tedeschi all'”ora zero” della fine della guerra.

La Germania giaceva in rovina l’8 maggio 1945, il giorno della sua resa incondizionata. Città trasformate in un mare infinito di macerie, al posto delle case, semplici cumuli di detriti e scheletri di muri semidistrutti. Edifici solitari ancora in piedi per puro caso – monumenti commemorativi che sporgono in mezzo alla distruzione. Ponti fatti saltare dalla Wehrmacht come segni di una guerra fanatica combattuta fino alla totale rovina. Intere regioni devastate. “Berlino ha praticamente cessato di esistere”, ha dichiarato il giornalista della BBC Thomas Cadett in un servizio dalla città.

Abbiamo visto innumerevoli immagini di quel giorno. Soldati tedeschi disarmati dalle forze alleate, accovacciati con le braccia dietro la testa, i loro volti ora impauriti, vuoti, sconcertati. Sopravvissuti che barcollavano come morti viventi tra i resti di città bombardate. I corpi di coloro per i quali la liberazione arrivò solo pochi giorni troppo tardi. Immagini di carri crivellati di proiettili dei convogli di rifugiati tedeschi provenienti dall’est, e sparsi intorno a loro vestiti e tutto ciò che un tempo faceva parte di una casa.

La Seconda Guerra Mondiale non fu altro che un orrore incessante. Umiliazione, persecuzione, tortura, omicidi, genocidio. Alla fine, in Europa morirono più di 60 milioni di persone, sei milioni di ebrei furono assassinati, milioni rimasero senza casa e sradicati, abbandonati, distrutti, feriti, affamati. Eppure c’era anche questo: speranza e gratitudine. “Proviamo ripetutamente un grande senso di sollievo e gratitudine (…) per essere ora veramente sopravvissuti a tutto questo (…) pericolo”, scrisse Victor Klemperer, ancora incredulo, negli ultimi giorni di guerra. Il grande studioso, umiliato, privato dei propri diritti, perseguitato, poteva finalmente sperare di essere sfuggito al suo sterminio.

Furono i tedeschi a scatenare questa guerra criminale e a trascinare tutta l’Europa con sé nell’abisso. Furono i tedeschi a commettere il crimine contro l’umanità che fu la Shoah. E furono i tedeschi che non furono disposti e incapaci di liberarsi dal giogo del regime nazista.

Questo è ciò che noi – noi tedeschi – ricordiamo oggi, 80 anni dopo. Sappiamo che questo giorno ha profondamente plasmato il nostro Paese. Siamo tutti figli dell’8 maggio!

L’8 maggio 1945 fummo liberati. Oggi, 80 anni dopo, il nostro profondo ringraziamento va ancora ai soldati alleati e ai movimenti di resistenza europei che hanno radunato tutte le loro forze e sopportato gravi perdite per sconfiggere il regime nazista. Non lo dimenticheremo! Il nostro ringraziamento va agli americani, agli inglesi e ai francesi e a tutti coloro che si sono uniti a loro nella lotta contro il terrore nazista.

Sappiamo anche il contributo dell’Armata Rossa, russi, ucraini, bielorussi e tutti coloro che vi hanno combattuto. Almeno 13 milioni di questi soldati e altrettanti civili hanno perso la vita. L’Armata Rossa ha liberato Auschwitz.

Tutto questo non lo dimenticheremo. Ma proprio per questo motivo, ci opponiamo fermamente alle menzogne storiche che ora vengono raccontate dal Cremlino. Anche se questa affermazione venisse ripetuta domani alle celebrazioni del Giorno della Vittoria a Mosca, la guerra contro l’Ucraina non è in alcun modo una continuazione della lotta contro il fascismo. La guerra di aggressione di Putin, la sua crociata contro un paese libero e democratico, non ha nulla in comune con la lotta contro la tirannia nazionalsocialista condotta durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa menzogna storica non è altro che una facciata per l’illusione imperiale, la grave ingiustizia e i crimini più atroci!

Anche e soprattutto l’8 maggio, continuiamo a sostenere l’Ucraina nella sua lotta per la libertà, la democrazia e la sovranità. Lasciare l’Ucraina indifesa e senza protezione significherebbe abbandonare le lezioni dell’8 maggio!

Oggi, 80 anni dopo, siamo profondamente grati anche per la riconciliazione, la fiducia che tanti Paesi ci hanno donato dopo la guerra. Per la riconciliazione con i nostri vicini Polonia e Francia. Per il miracolo della riconciliazione che le comunità ebraiche di tutto il mondo e lo Stato di Israele ci hanno donato.

Noi tedeschi non potremo mai essere abbastanza grati per questo dono di riconciliazione!

Eppure la gratitudine non basta! Non potrà mai e non dovrà mai lasciarci indifferenti quando, proprio nel nostro Paese, l’antisemitismo mostra di nuovo il suo volto. È ignorante della storia, è insopportabile, quando gli ebrei vengono costretti a non sentirsi più al sicuro nel nostro Paese. Insopportabile non solo per gli ebrei. No, insopportabile per la nostra democrazia. Non deve esserci posto per l’antisemitismo nella nostra società. È nostro dovere garantirlo!

Nel 1945, la liberazione arrivò dall’esterno. Doveva essere così. La maggior parte dei tedeschi rimase fedele al regime fino all’ultimo giorno. E non tutti i tedeschi provarono gratitudine per la liberazione; non si consideravano nemmeno liberati.

L’8 maggio 1945 segnò per il nostro Paese l’inizio di un lungo cammino verso la libertà e la democrazia. Gli Alleati occidentali aprirono questa strada al popolo di quella che sarebbe poi diventata la Repubblica Federale di Germania. A est, nel frattempo, la libertà fu tenuta lontana dall’Unione Sovietica, che aprì la strada al governo monopartitico del Partito Socialista Unificato e a una nuova dittatura.

Ma noi tedeschi dovemmo prima liberarci anche interiormente, in un processo lungo e doloroso. Una resa dei conti che lasciò ferite, anche tra le generazioni. La verità è che nella Repubblica Democratica Tedesca, mentre l’antifascismo era dottrina ufficiale dello Stato, per lungo tempo non ci fu un più profondo confronto con la storia. La verità è anche che la nuova Repubblica Federale Tedesca inizialmente rifiutò quasi ogni confronto con il passato e, soprattutto, si rifiutò a lungo di punire i colpevoli; molti di coloro che erano stati fedeli servitori del regime nazista ricoprirono nuove cariche statali.

Sia a est che a ovest, ci sarebbero voluti anni, anzi decenni, prima che noi tedeschi affrontassimo pienamente le tortuose questioni di colpa e responsabilità, prima che le famiglie parlassero di ciò che era accaduto, di chi era a conoscenza dei crimini ma aveva distolto lo sguardo, di chi era colpevole ma aveva taciuto.

L’affermazione di Richard von Weizsäcker, secondo cui “l’8 maggio è stato un giorno di liberazione”, nel suo storico discorso dell’8 maggio 1985, non fu priva di controversie anche 40 anni dopo la fine della guerra. Eppure, segnò una svolta nel nostro approccio al passato.

Il Presidente Federale von Weizsäcker parlava a nome della Repubblica Federale di Germania, ma le sue parole trovarono eco anche nella Repubblica Democratica Tedesca.

E oggi, altri 40 anni dopo? Il Giorno della Liberazione dell’8 maggio è diventato un elemento fondamentale della nostra identità tedesca collettiva.

Eppure non celebriamo oggi questo 8 maggio con uno spirito di serena sicurezza. Perché ci rendiamo conto che la libertà non è il gran finale della storia. La libertà non è garantita per sempre.

Oggi, quindi, non abbiamo più bisogno di chiederci: l’8 maggio ci ha liberati? Ma ci chiediamo: come possiamo rimanere liberi?

Ottant’anni dopo la fine della guerra, il lungo ventesimo secolo è definitivamente giunto al termine. Le lezioni apprese da due dittature e due guerre mondiali stanno ormai svanendo. I liberatori di Auschwitz sono diventati nuovi aggressori. Scatenando la guerra contro l’Ucraina, Putin ha infranto il nostro ordine di sicurezza europeo, che speravamo fosse una lezione appresa una volta per tutte dagli orrori della guerra.

La comunità internazionale aveva tratto le sue conclusioni dalla guerra di sterminio e genocidio, aveva introdotto regole per frenare le ambizioni nazionalistiche e promuovere la cooperazione, e creato un ordine internazionale sulla base del diritto internazionale. Tutto questo non è mai stato perfetto, non è mai stato privo di controversie, ma il fatto che ora persino gli Stati Uniti, che hanno contribuito così tanto a plasmare questo ordine, gli stiano voltando le spalle è uno shock di una portata completamente nuova.

Si tratta nientemeno che di un doppio cambiamento epocale – la guerra di aggressione della Russia, la rottura degli Stati Uniti con i propri valori – che segna la fine del lungo ventesimo secolo.

Anche in Europa, il fascino per le lusinghe autoritarie e populiste sta di nuovo guadagnando terreno, e i dubbi sulla democrazia vengono espressi a gran voce. Stiamo assistendo con orrore a come persino la più antica democrazia del mondo possa essere rapidamente messa in pericolo quando la magistratura viene disprezzata, la separazione dei poteri violata e la libertà accademica attaccata. Guardiamo al nostro Paese, dove le forze estremiste stanno guadagnando forza. Deridono le istituzioni democratiche e coloro che le rappresentano. Avvelenano i nostri dibattiti. Giocano sulle preoccupazioni della gente. Traggono profitto dalla paura. Mettono le persone le une contro le altre. Riportano in vita vecchi mali.

Chi vuole il bene di questo Paese proteggerà la nostra convivenza, la nostra coesione e il pacifico bilanciamento degli interessi. Questo è ciò che mi aspetto da tutti i democratici di questo Paese.

Come possiamo rimanere liberi, come possiamo preservare e proteggere la nostra democrazia? In questo cambiamento epocale, non possiamo procedere come al solito quando si tratta di memoria. L’8 maggio ha ancora molto da dirci.

A volte mi interrogo davvero sull’ostinazione con cui alcune persone – purtroppo tra cui alcuni in quest’Aula – ci chiedono di “mettere un limite” al nostro passato e alle nostre responsabilità. Ma cosa dovrebbe significare davvero? Dovremmo dimenticare ciò che sappiamo?

Cosa ne guadagneremmo? Vogliamo davvero scegliere di negare la nostra solidarietà ai sopravvissuti all’Olocausto, che guardano al presente con grave preoccupazione? Vogliamo essere un Paese che ricorda solo i suoi presunti giorni di gloria e minimizza i capitoli più bui della sua storia, o addirittura li nega del tutto? Vogliamo essere una democrazia che dimentica da dove viene e cosa costituisce il nucleo della sua identità?

E, d’altra parte, vogliamo davvero rinunciare alla consapevolezza che il nazionalismo fanatico può essere sconfitto, che la pace può seguire la guerra? Che la pace e la democrazia portano anche prosperità? Che i nostri sforzi per fare i conti con il nostro passato ci hanno fatto guadagnare rispetto e riconoscimento in tutto il mondo?

Staremmo davvero meglio se dimenticassimo tutto ciò che abbiamo vissuto e ci spogliassimo semplicemente dei ricordi come di un set di vestiti vecchi?

Negli ultimi 80 anni, abbiamo infatti ripetutamente visto la forza che risiede nella memoria condivisa. L’esperienza della Seconda guerra mondiale, fatta di sofferenza, distruzione, persecuzione, terrore, morte, sfollamento – tutto questo è profondamente radicato nella memoria collettiva degli europei, sebbene gli eventi stessi si allontanino ogni anno di più. Le esperienze vengono tramandate di generazione in generazione, nelle famiglie in Francia, nel Regno Unito, in Belgio, in Italia e nei paesi dell’Europa orientale. Io stesso l’ho visto ripetutamente durante gli eventi commemorativi, quando i sopravvissuti e i parenti delle vittime naziste mi raccontavano il loro dolore, e nonostante ciò mi stringevano la mano in segno di riconciliazione. Sono stato profondamente toccato quando, a Varsavia, per commemorare la rivolta di 80 anni fa, un sopravvissuto mi prese per mano e disse: “Polonia e Germania oggi sono amiche. È una cosa che non avrei mai potuto immaginare”. Il mio messaggio è: possiamo raggiungere e abbiamo raggiunto così tanto grazie alla riconciliazione. Continuiamo a lavorare per questo obiettivo!

Proprio perché lo ricordavamo, una nuova Europa unita è sorta dalle rovine della Seconda Guerra Mondiale dopo il 1945, un’Europa che aveva imparato la lezione dalla catastrofe. Aveva imparato il valore della coesistenza pacifica anziché dell’antagonismo ostile; della cooperazione anziché del tutti contro tutti; del rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani universali. Queste scelte ci hanno portato decenni di pace, libertà e prosperità.

Credo fermamente che affrontare il passato non significhi rinunciare al futuro. Il nostro passato non è una prigione in cui siamo incarcerati. Non è una zavorra che ci tiene prigionieri, nemmeno quelli di noi nati dopo gli eventi.

Tutt’altro. È un prezioso tesoro di esperienze, con tutti i suoi alti e bassi. È la chiave, per noi, per i nostri figli e i nostri nipoti, la chiave con cui possiamo sbloccare le soluzioni alle crisi presenti e future. Ed è per questo che è così importante, proprio in questo momento, assicurarsi che l’esperienza della dittatura e della guerra, e allo stesso modo l’esperienza della ricostruzione e della riconciliazione, venga tramandata di generazione in generazione. Perché dovremmo provare il dolore di imparare e sperimentare di nuovo qualcosa che abbiamo già imparato e sperimentato così amaramente nel nostro passato tedesco?

Oggi sono più convinto che mai che abbiamo imparato così tanto dal nostro passato che ci ha resi ciò che siamo oggi. Non rinunciamo con noncuranza a ciò che ci ha resi forti! Non scappiamo dal nostro passato. Non gettiamone a mare le lezioni proprio nel momento in cui ci pongono delle pretese. Sarebbe sia vile che sbagliato!

Facendo un ulteriore passo avanti, lasciatemi chiedere: la nostra storia, le nostre esperienze, non ci hanno forse preparato particolarmente bene alle tribolazioni di questi tempi?

Non possiamo andare incontro a nulla come sonnambuli. Sappiamo dove porta l’isolazionismo, dove possono finire il nazionalismo aggressivo e il disprezzo per le istituzioni democratiche. È così che abbiamo già perso la democrazia in Germania una volta. Quindi, confidiamo nella nostra esperienza! E difendiamo i nostri valori. Non dobbiamo lasciarci paralizzare dalla paura! Dobbiamo invece affermarci.

Quando altri cadono nel nazionalismo e cercano di affermare i propri interessi con la forza bruta, abbiamo ancora più motivi per unirci ai nostri partner per cercare soluzioni, perché è giusto. Quando altri mettono in dubbio le Nazioni Unite e violano il diritto internazionale, dobbiamo sostenere queste istituzioni, perché è giusto.

Quando lo zeitgeist incalza sulla rottura, è ovvio che dietro a tutto questo c’è troppo spesso solo la riluttanza a spiegare come e perché si possa realizzare il cambiamento. E sappiamo il prezzo che pagheremmo se abbandonassimo tutte le regole, con il risultato di un futuro in cui la “forza della legge” non si applicherebbe più e la “legge del più forte” tornerebbe, con tutta la sua brutalità. Questa non può – e non deve – essere la strada che intraprendiamo.

Quando altri limitano la democrazia, le libertà e i diritti, siamo pronti a prendere posizione. Quando i dubbi su questi valori crescono anche nel nostro Paese, dimostriamo che ogni singolo individuo può vivere una vita migliore e più libera in una democrazia che sotto qualsiasi tipo di regime autoritario. Convinciamo quanti più dubbiosi possibile! Riconquistiamoli per la nostra democrazia! La democrazia non è mai completa! È un cammino arduo! Richiede dedizione. Ma non esiste un sistema di governo migliore!

E se oggi le nuove guerre ci preoccupano, siamo proprio gli ultimi a perdere di vista la pace! Sappiamo dove porta la guerra. E la temiamo a ragione. La pace rimane quindi il nostro principio guida. Ma la pace non regna semplicemente se esercitiamo moderazione, se ci asteniamo dal rafforzare la nostra capacità difensiva. Perché ci troviamo di fronte a una dura realtà, e dobbiamo fare tutto il possibile, insieme ai nostri partner europei, per fermare l’accaparramento di territori da parte di Putin. Dobbiamo dimostrare che le democrazie non sono vittime indifese.

Dobbiamo aumentare la nostra forza militare, non per fare la guerra, ma per prevenirla. Non come sostituto della diplomazia, ma per renderla più credibile, con una politica estera attiva, che non abbandoni il campo diplomatico a coloro che cercano solo di perseguire i propri interessi egoistici e di accrescere il proprio potere. Dovremmo essere attivi, ovunque possiamo essere utili. La Germania è necessaria per contribuire a ripristinare la pace dove è stata perduta. Questo è anche ciò che l’8 maggio ci richiede.

Oggi, in questo 8 maggio, siamo un Paese diverso da quello che eravamo 80 anni fa, o anche solo 40 anni fa. Siamo un Paese che ha avuto la grande fortuna di vivere una rivoluzione pacifica e una riunificazione, un Paese diverso e aperto. Il nostro passato non fornisce solo il modello per prevenire una catastrofe. Il passato ci racconta anche del miracolo della riconciliazione tra Germania e Israele, e di come la vita ebraica sia tornata a far parte del nostro Paese. Ci racconta di come, nel 1989, i popoli dell’Europa orientale e della DDR superarono la divisione dell’Europa e conquistarono la libertà. Ci racconta l’incredibile storia di successo di un Paese che si è ripreso dal collasso totale – incluso quello morale – e che è tornato a godere di libertà, forza economica e prosperità, guadagnandosi il rispetto e persino la comprensione internazionale. Chi avrebbe mai pensato che una cosa del genere fosse possibile l’8 maggio 1945?

Possiamo avere fiducia in questo Paese. Possiamo avere fiducia in noi stessi.

Siamo tutti figli dell’8 maggio, come disse una volta Jürgen Habermas, una frase che esprime speranza. Speranza audace! Speranza nonostante tutto! Nessuno dall’esterno può darci la nostra libertà oggi. Dobbiamo difenderla noi stessi. Sappiamo quali passi bisogna compiere. E sappiamo che è sempre possibile che qualcosa di nuovo abbia inizio.

Siamo, davvero, tutti figli dell’8 maggio! Con questo in mente, proteggiamo la nostra libertà! Proteggiamo la nostra democrazia!