Il tribunale di Parigi, nella persona del giudice Bénédicte de Perthuis, ha condannato Marine Le Pen, leader del partito francese di estrema destra Rassemblement National, per appropriazione indebita di fondi pubblici (europei). Tutti si concentrano sul suo nome, il più famoso e attrattivo, ma in realtà sono stati condannati altri otto parlamentari europei del suo partito e 21 assistenti.

La condanna di Marine Le Pen consiste in quattro anni di carcere (due sospesi con la condizionale, e due probabilmente tramutabili in arresti domiciliari), nel pagamento di 100 mila euro, e nell’ineleggibilità per cinque anni. Apriti cielo, spalancati terra.

In tutta Europa si discute di questa condanna di primo grado, che ha provocato un terremoto nella politica francese, un dibattito sul futuro della democrazia in molti Paesi, e la messa sotto protezione del giudice, prontamente raggiunto da minacce di morte.

Il tema in discussione è l’applicazione della legge votata nel 2016 dall’Assemblea nazionale francese che prevede l’ineleggibilità dei condannati per questo tipo di reati. La logica della legge è: chi si appropria di soldi pubblici non può presentarsi per un certo numero di anni per essere eletto a incarichi pubblici. Ma è facoltà del giudice applicare la norma alla fine di tutto l’iter processuale, o già in occasione della sentenza di primo grado. E il giudice (donna) Bénédicte de Perthuis l’ha applicata subito, di fatto rendendo pressoché impossibile la candidatura di Marine Le Pen alle elezioni presidenziali del 2027.

Due modeste considerazioni.

La prima è la seguente: la sentenza del tribunale di Parigi non mette fuorilegge l’intero partito del Rassemblement National, condanna solo alcune persone. In genere nei Paesi liberi questo tipo di pronunciamenti giudiziari finiscono per favorire più la popolarità dei condannati che quella dei giudici. E a questi ultimi spetta applicare la legge, non rendersi popolari. I condannati in primo grado possono avvalersi del diritto di appello, rimangono innocenti fino alla fine dell’iter processuale, e il partito può liberamente mobilitare l’opinione pubblica a suo sostegno.

La seconda considerazione è la seguente: per la nostra civiltà giuridica, lontana da quella dei regimi fascisti o comunisti, Marine Le Pen è innocente fino alla pronuncia definitiva della sua condanna. E merita il rispetto dovuto a tutti i cittadini. Un po’ meno se lo meritano alcuni volenterosi che si sono stracciati le vesti in suo favore, fin troppo colmi di furente indignazione per la sentenza del tribunale parigino.

Tra i primi ad accorrere in aiuto di Marine Le Pen ci sono gli esponenti del regime russo di Vladimir Putin, scandalizzati per come in Europa si starebbero violando le norme democratiche, arrivando a parlare nientepopodimeno che di “agonia” della democrazia liberale. Con tutta franchezza, le lezioni moscovite sulla democrazia sono leggermente risibili: a Mosca gli oppositori al regime possono stare solo in carcere o sottoterra.

Ma ci sono anche momenti di ilarità non colti da molti osservatori. Un altro solerte sostenitore di Marine Le Pen è il premier ungherese Orban, che si è sempre contraddistinto per le sue battaglie anche legislative contro di diritti della comunità LGBT. Ebbene, incontenibile nel suo furore, ha manifestato il suo sostegno scrivendo sui social “Je suis Marine”. Io sono Marina, scrive Orban. Più LGBT di così…

Il marconista di bordo